Un incidente sul cantiere dei lavori in corso di un antico edificio porta due amici – Lino e Peppino – a ricostruire la storia della cosiddetta “villa dei fantasmi” che è, in realtà, la tragica storia di una coppia e del loro desiderio di genitorilità. Dall”atto della creazione a quello creativo il passo è breve: la vicenda corre così sul filo di un parallelismo ardito e profondamente significativo. E’ il nuovo lavoro firmato da Pasquale Scipione dal titolo Un utero per Alba (Ventus, 2023).
L’assunto dell’ardita metafora proposta dall’autore lungo tutta la narrazione è che l’opera d’arte abbia diritto alla sua genitorialità esattamente come un neonato, per il quale è garantita dalla “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo”; ciò misto agli eterogenei interessi di Scipione affascinato da diverse sollecitazioni concomitanti – notizie di stampa dai toni allarmanti sul calo demografico nel nostro Paese, la polemica politica sull’applicazione della legge sul “Diritto alla Procreazione Cosciente” e sul “Diritto all’aborto”, la contestuale diminuzione delle adozioni – sono alla base di questa drammatica storia.
Ecco, dunque, che l’autore del testo si è avventurato in un’articolata riflessione, attraverso l’espediente narrativo, con il tentativo di assimilare la creazione di un’opera d’arte la cui identità viene fraudolentemente alterata – ingannando il compratore – e l’alterazione della identità di un neonato commesso da una donna ossessionata dalla maternità.
Così si posso distinguere una sorta di primo e secondo tempo in un racconto a specchio dai risvolti oscuri e tragici, tanto quanto luminosi nel culmine della vicenda. Esso parte da un luogo comune, di quelli che spesso accade di trovare nelle più comuni riflessioni, soprattutto quando viene meno l’empatia o la reale conoscenza dei fatti: una casa infestata. Un espediente che dà ritmo e intrigo alla vicenda e che forse se ne pone come spina dorsale riflessiva: al di là delle considerazioni, delle conclusioni dell’autore o del lettore, rimane un’osservazione metaforica di base che riguarda tutti, vale a dire i cosiddetti “fantasmi”, quelle pure ossessioni, che potenzialmente riguardano gli esseri viventi, che sia la genitorialità o il possesso di un’opera d’arte, o l’assillo di non accettare la morte di chi si ama.
Insomma, l’ultimo racconto di Pasquale Scipione è come sempre breve ed intenso, ma questa volta indaga l’anima umano senza attenuanti, nella sua cruda intimità, nel suo reale bisogno, nelle sue vere debolezze. E, ben oltre la vicenda, propone un costrutto riflessivo davvero degno di nota, tanto nella sostanza quanto nella forma. La sua complessità, infatti, è ben edulcorata dalla volontà – non da poco – di proporlo all’interno di una “semplice” vicenda narrativa, che alla fin fine si presta – come spesso accade con questo autore – a divenire un appello all’amore.
“E’ necessario stabilire l’amore su altri criteri che non siano solo quelli della relazione privata ma rimetterlo al centro della società umana per salvare i nostri figli dall’uragano della violenza diffusa. Avere fede nella possibilità dell’amore come valore sociale è scelta razionale ed una grande avventura intellettuale che spero approdi nei cuori di tutti noi amandoci di più”.