Ci si può interrogare sulle ragione della guerra, ma forse è tempo di interrogarsi sulle ragioni della pace. Della natura dell’uomo è parte integrante il conflitto, tanto quanto la ricerca dell’armonia con gli altri – senza i quali sarebbe difficile anche distinguere noi stessi: ma perchè le premesse per una relazione conflittuale sembrano sempre più forti della coltivazione di quelle per una coesistenza equilibrata? Allora sì è necessario interrogarsi sulla necessità e l’utopia della “pace”, soprattutto davanti alla prospettiva che persone come Gino Strada sono riusciti a consegnarci prima di chiudere gli occhi.
Perchè definisco la pace utopia? perchè – come insegna Strada – “l’utopia è il nome dei desideri, idee, progetti che possono diventare realtà. L’utopia può avere un passo imprevedibilmente veloce”.
Nel suo ultimo libro “Una persona alla volta”, il chirurgo di guerra italiano, fondatore dell’associzione “Emergency” da anni operativa negli scenari di guerra in numerosi Paesi e partecipe anche alla gestione della pandemia da Covid-19 in Italia – ci ha regalato la sintesi del suo sguardo sulle conseguenze della guerra. Di qualsiasi guerra.
Conseguenze sufficienti a desiderare la pace con ogni poro della propria pelle. Conseguenze che nella loro crudeltà lasciano da parte qualsiasi eventuale ragione di guerra e rendono, per l’appunto, indispensabile interrogarsi sulla pace, perchè a pagare il prezzo più alto sono di fatto, quasi sempre, i più innocenti, in particolare i bambini.
Quanti bambini dilaniati da armi-giocattolo o da improvvisi attacchi ha dovuto sottoporre alle sue mani su tavoli operatori in realtà dove il concetto di sanità e servizi ospedalieri erano lontani anni luce? In quanti contesti il soccorso di Emergency ha portato il “buono e il bello” di ospedali e reparti, praticamente insesisteni in precedenza, per superare l’idea di cura a pagamento? Quell’assurda idea di dover scegliere se pagare le cure per un membro della famiglia o far mangiare il resto della stessa?
E i bambini sono il futuro. Futuri per molti dei quali non è mai esistito alcun presente al di fuori di quello bellico. Non conoscono altre realtà, addirittura si potrebbe dedurre che considerino quella la normalità.
Così da Kabul a Hiroshima Gino Strada ci regala il racconto di una missione durata tutta la vita. “non un’autobiografia, un genere che proprio non fa per me, ma le cose più importanti che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro” – scrive egli stesso.
Nelle pagine – a tratti crude, in altre commoventi – trovano spazio, allora, i primi passi mossi a Sesto San Giovanni, la passione per la chirurgia del cuore e poi quella d’urgenza. Ci sono gli ospedali, i reparti costruiti in Pakistan, Afghanistan, Uganda – con la straordinaria collaborazione di Renzo Piano – ed ancora Ruanda, Iraq, Cambogia, Eritrea, Palestina, Algeria, Libia, Sierra Leone, per citarne alcuni.
C’è l’epidemia di Ebola e la filosofia contingente del “no touch care” fino a quando non si è stato in grado di tornare a “toccare i pazienti” disponendo degli strumenti necessari; ma chiara sempre una verità: prendersi cura degli esseri umani.
Gino Strada “Curava le vittime e intanto rivendicarva diritti. Una persona alla volta” e se è vero che questa è una “missione”, benchè egli stesso l’abbia intrapresa nell’indispensabile necessità di concretizzare l’essenza della medicina più che per una vocazine eroica, è vero anche che probabilmente oggi più che mai bisognerebbe tenersi cara la “pace”, “curare la pace”. Avere più dimestichezza con la “cura del prossimo” e non con la sua eliminazione.