Quando non ci si affida alla fede, né ci si rivolge alle culture religiose di qualsiasi natura, all’uomo resta solo l’uomo ed all’uomo che resta solo uomo non restano che le parole, vale a dire l’unico modo con cui assolvere alla volontà di centrarsi, rileggersi, raccontarsi e preservarsi dall’oblio del dimenticatoio. E’ in questa dimensione che sembra calarsi la scrittrice francese Marguerite Yourcenar con il suo capolavoro Memorie di Adriano, grazie al quale non solo ricostruisce – non senza dovizia di particolari – il profilo della dimensione storica, ma in essa presenta a tutto tondo la grandezza di una personalità come quella dell’imperatore Adriano, muovendosi tra la sua disponibilità intellettuale, le intuizione profetiche, il pensiero politico, la voluttà e la metafisicità dell’amore dei suoi amori, come quello per Plotina o per Antinoo.
Se ci si fermasse a riflettere su questi molteplici aspetti nessuno – poco prima di finire nell’identità abitualmente nota al mondo – rinuncerebbe a scegliersi un destinatario, appagando – contemporaneamente – la necessità di riconciliazione, la solidarietà della saggezza e la sollecitudine della vanità di volerci indimenticabili; la genialità della Yourcenar sta proprio non solo nella capacità di rendere la storia di un uomo la storia degli uomini, ma anche renderla in una chiave quanto mai contemporanea, aspetti che rispondono alla convinzione dell’autrice per cui “non siamo i soli a guardare in faccia un avvenire inesorabile”.
Eppure era il lontano 1924, quando Marguerite Yourcenar visitò per la prima volta Villa Adriana a Tivoli, dando il via alla composizione della pietra miliare della sua letteratura con la prima stesura di “I taccuini di note di Memorie di Adriano”; ci vorrà poi molto tempo – diversi decenni – prima che il grande romanzo francese vedesse la luce con la pubblicazione che arriverà solo nel 1951- dopo diversi rimaneggiamenti, tra cui l’ultimo, cioè quello con cui decise di impostare il romanzo come una lunga lettera che ipoteticamente l’imperatore Adriano, scorgendo ormai il “profilo della morte” – scrive a suo nipote e successore l’allora 17enne Marco Aurelio.
Così l’autrice ripercorre la vita di Adriano – facendolo parlare in prima persona rivolgendosi al giovanissimo Marco Aurelio – e raccontando di sé apre a molteplici riflessioni – come quella sul suicidio:
“[…] stentavo a comprendere che si lasciasse volontariamente un mondo che mi appariva tanto bello; che mi esaurisse fino in fondo, a onta di tutti i mali, l’estrema possibilità di pensiero, di contatti, di spettacolo persino. Ma ho cambiato idea, in seguito”.
Scrivendo la lunga lettera, Adriano prova a trovare un equilibrio – come accade nell’esistenza tormentata d’ogni uomo – tra la razionalità ed il fato, tra la capacità di accettare e la forza di cambiare, costruire:
“Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che è la vita stessa della città. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta d’un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura!”.
La Yourcenar ha costruito – tanti or sono – con “Memorie di Adriano” – in un atto di amorosa coerenza – ha lasciato quel segno sulla letteratura che ne è rimasta vergata per sempre, con pagine sconfinate temporalmente e spazialmente. La Yourcenar ha consegnato se stessa ed Adriano all’immortalità, quella delle loro profonde parole condivise, di cui si nutre ancora la contemporaneità più affamata.