Un titolo – Il treno dei bambini (Einaudi, 2019) – contente le parole “treno” e “bambini” fionda immanente il pensiero ad una dimensione vagamente fiabesca. E’ un’intuizione personale, certamente, e proposta così anche un po’ forviante rispetto alla trama del libro, probabilmente, ma c’è da assicurare che non si discosti poi molto dalla dimensione emozionale del romanzo di Viola Ardone.
La sua storia è drammaticamente vera, dunque né propriamente di fantasia, né semplicemente verosimile. Quando nel secondo dopoguerra la miseria regnava, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia, detronizzando di fatto la speranza di una vita spensierata come ogni piccolo individuo meriterebbe, la politica si assunse la responsabilità di risollevare quei destini, continuando – tra l’altro – ad intessere l’unità del Paese. Così la vicenda di Amerigo narrata dall’Ardone, è la storia di tanti bambini che sopravvissero – letteralmente – alla fame grazie all’iniziativa di solidarietà ideata e realizzata dalle forze comuniste di “spedirli” – nell’insicurezza materna beffata dalla disperazione – su al Nord, in Emilia Romagna (tra Bologna, Modena, Parma) perchè fossero accolti per un periodo da una sorta di “famiglia di supporto”.
Era il 1946 e migliaia di bambini meridionali si ritrovarono così ad attraversare quasi l’intera penisola verso pressoché l’ignoto. Tra tanti pugni chiusi e le parole intonate di “Bella ciao” salirono su treni che li avrebbero condotti verso un nuovo destino, pur dovendo pagare lo scotto di una separazione fisica e sentimentale massiccia, quasi sempre da mamme, le quali avevano dovuto sobbarcarsi da sole le sorti di intere famiglie, senza alle volte neanche la fortuna di un lavoro, quasi sempre dotate unicamente dell’arte di arrangiarsi.
E se si pensa ad una “fiaba” va da sé. Vuoi la nostalgia per una politica pragmatica in grado di rispondere alle esigenze lasciando che le risorse fossero gli uomini con il loro cuore e le loro possibilità, oltre ogni individualismo; vuoi il dolore di non riuscire ad ammirare la stessa passione per la dimensione collettiva, politica e sociale, e per le persone che ne sono unità principale e dover, invece, prendere atto di come troppi biasimino l’accoglienza. Vuoi che se metti un bambino su un treno, senza che ci abbia mai viaggiato prima, senza che sia mai uscito fuori dal suo “rione” e conosca tantissimi alimenti, oggetti, o veda il mare e la neve, tutto per la prima volta, lo stupore di cui solo i bambini sono dotati ti conducono in un mondo altro. Quasi fiabesco.
Ciò è stato però, e per fortuna, e con quella operazione il Partito Comunista restituì una speranza e un destino a chi ha visto le sorti della sua vita risollevarsi contemporaneamente al suo Paese messo in ginocchio dalla guerra.
E’, dunque, solo grande merito dell’Ardone se una storia dagli aspetti così drammatici, inviscerata del dolore della separazione e per certi versi, in alcuni meccanismi psicologici di auto-affermazione, di rinnego, venga fuori la magia di un piccolo “miracolo”, tutto italiano,di solidarietà e cooperazione, in un romanzo disarmante nella sua semplicità e nel suo candore, che non risparmia commozione.