Un modo nuovo di costruire la scena, un modo travolgente di buttarti sul palcoscenico di una vicenda. Contribuiscono a costruire un “teatro rivoluzionario” i fantastici racconti della raccolta “Il Bar sotto il mare” ( Universale Economica Feltrinelli 2017) di Stefano Benni, in cui il mare diventa un pretesto e una sorta di “deus ex machina”, ma tutto quello che c’è nel mezzo è in grado di condurti in tantissimi altrovi, attreaverso i “monolighi” del carnet di personaggi che siedono ai tavoli di quel bizzarro cafè sottacqua.
Stefano Benni, giornalista e scrittore bolognese, del mare ha sicuramente una profondità ben celata in racconti allegri, nei cui angoli sono spesso annidati sorrisi, soprattutto nelle pieghe dei paradossi o dei giochi di parole che riesce ad inventare. Leggere i suoi racconti si traduce in una scoperta continua di ironia, suggestione, curiosità, passando elasticamente dal “giallo” al “rosa”, come agevolmente si passa ad ascoltare le varie della gente.
Le parole si piegano alla sua teatralità continuamente, quelle inventate per esigenze espressive e narrative, quelle consolidate in un uso tragicomico, e sembra quasi che Benni voglia educare i suoi lettori ad essere anche platea. Credo che a confermarlo ci siano le illustrazioni delle prime pagine, di cui il disegno di Giovanni Mulazzani, ed ecco in bella posa: i tre uomi col capello, il barista, la bionda, il venditore di tappeti, il marinaio, l’uomo invisibile ( che pur si percepisce!), l’uomo con la cicatrice, il ragazzo e la ragazza col ciuffo, il nano, il cuoco, la signorina con il cappello, l’uomo con gli occhiali neri, quello col mantello, la bambina, il vecchio con la gardenia, la sirena, il bimnbo serio, la vecchietta, il cane nero, la pulce della cane nero. E’ chiaro che anche le pulci hanno la tosse ( come si suol dire!) testè qualcosa da raccontare.
Sono lì a tenersi e tenerti compagnia e li vedi. Li vedi tutto il tempo, mentre gesticolano nella sala di quel bar, ognuno con i suoi caratteri che Benni neanche descrive, ma che grazie alla raffigurazione iniziale riesci a riprodurre tra le tue pagine. Nel mondo immaginario di Benni tutti hanno voce in capitolo. Anche gli animali vivono le loro avventure. Anche le loro storie sono importanti; ma a quale scopo?
Una prima lettura lascia passare la convinzione che dietro al lietissimo intrattenimento dell’ umile leggerezza narrativa di Benni non ci sia altro che l’idea di un passatempo. Le citazioni, a livello formale, e lo scioglimento, i risvolti dei racconti, invece, suggeriscono tutt’altra caratura delle ventiquattro avventure.
Penso a Il più grande cuoco di Francia:
“ – Ha ragione diacolico individuo- dice il diavolo alzandosi a fatica – lei mi ha sedotto, stregato, farcito di proteine e zuccheri. Tonerò tra dieci anni.
- Allora ho ingannato il diavolo? -chiede Ouralphe.
- Forse – ghigna quello – oppure il diavolo si è fatto una mangiata gratis nel più bel ristorante di Francia.
- Non era ancora la mia ora?
- Chi lo sa – dice il diavolo – nessuno ha un orologio così grande”.
Se è vero che la fantasia racchiude tutti gli altri mondi possibile; è vero anche che tutti gli altri mondi possibili sono frutto del possibile o dell’impossibile che sbocciano, ma pur sempre di qualcosa d’altro rispetto alla realtà vissuta. La fantasia è catartica per l’errore, per la speranza, per la soluzione. L’esercizio della fantasia è di per sé il più grande insegnamento, a volte una grande terapia, certamente una grande fuga. Una scappatoia in quel che vogliamo vedere, sentire, toccare, credere, vivere.
La verità è che, almeno una volta nella vita, siamo stati tutti a “Il Bar sotto il mare” o tutti ci andremo. Benni da buon amico e compagno di viaggio ci dà una mappa, un tracciato, ci racconta la sua esperienza usando la leggerezza del vento e la pesante ricchezza dell’acqua. Nutre l’irresistibile voglia di aprire gli occhi sott’acqua, scrutando l’orizzonte, magari intravedendo nel suo sciabordino, una porta che si apre, sotto l’insegna luminosa “Bar”.