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“Padre, Filo E Spirito Santo”, L’uomo È Fragile E Non Si Salva Da Solo: Parola D’ordine “Inclusione”

 C’è un gesto – nella Lingua italiana dei Segni (LIS) – che indica l’inclusione: sono le mani sovrapposte con le dita intrecciate. Idealmente, ieri sera, con l’ultima replica di “Padre, filo e spirito santo”, lo spettacolo teatrale del Laboratorio dell’istituto alberghiero IPSEOA “Celletti” di Formia e della cooperativa “Nuovo Orizzonte” – coordinata dalla prof.ssa Anna Boniauto – si sono unite, in questo potente simbolo, le centinaia di palmi delle mani presenti nella sala del Piccolo teatro “Iqbal  Masih” di Formia.

Tra queste dita scorre il filo delle nostre marionette. Ma siamo davvero noi a muovere questo filo, o è il filo che muove le nostre sorti? Le nostre umane debolezze? Le nostre segrete speranze? – recita il claim dello spettacolo.

“Padre, filo e spirito santo” – spaccato di un mondo teatrale dinamico e colorato, fatto di musica e danza, vagamente ispirato ad un musical in stile Broadway – è stato recitato in due lingue, italiano verbale ed italiano segnato – immaginando che, in questo mondo, tutti parlino contemporaneamente attraverso queste due differenti modalità, una che mira all’uditivo e l’altra al visivo gestuale. Il tutto senza cadere in nessuna leggendaria babelica confusione, nonostante l’alternanza sul palcoscenico di ben ventotto interpreti.

Con il testo inedito, la drammaturgia e la regia di Angelo De Clemente, nonchè la regia LIS di Katia Macelloni e il coordinamento costumi e l’assistenza di scena di Paola Bisecco, attori tetraplegici, sordi, muti,con sindrome di down, con disturbi psico-motori di varia natura e cosiddetti normodotati – hanno raccontato la fragilità dell’uomo, il suo essere attaccato ad un “filo”, mosso alle volte dalla disperazione o dalla sopraffazione, destinato a sbagliare.

Ma l’uomo è solo un uomo – prova a salvarsi l’anima come può – e, per sua natura, tende all’errore, ma non è “escludendolo” che gli si mostra la via delle “redenzione”, la libertà fisica o morale attraverso la liberazione da colpe e motivi d’infelicità.

Stefania Bartolomeo, Antonio Bonamassa, Pio Cantiello, Fatima Caruso, Giuseppe Caruso, Silvia Coppeto, Armando Cordone, Tobia Cordone,  Rossella Fedele, Laura Forte, Siria Forte, Sara Lucidi, Giovanni Menerella, Antonio Mirabella, Syria Moscarello, Julian Palumbo, Rebecca Pelliccia, Irene Pezzetta, Fabrizio Picano, Chiara Recco, Michelle Santarpia, Benedetto Santoro, Sara Tamburrino, Alessio Tartaglia, Giulia Toscano, Elisa Verrengia, Valerj Viccaro e Chiara Vingione  lo hanno ricordato al pubblico intepretando magistralmente una gara di ballo di due squadre di marionette – per antonomasia legate ad un filo e ad una forma umana, seppur burattini.

E chi non si è sentito nella vita, in qualche circostanza un “pezzo di legno” in balia degli eventi? Ma se le due squadre in sfida nello spettacolo – quella dei parroci e quella delle suore – riescono a dimostrare che uniti, senza rinunciare alla marionetta rotta e senza cedere a compromessi con i poteri determinanti (come, nel caso della drammaturgia, l’allettante proposta di un’assessora rispetto all’esecuzione di lavori di ripristino agli edifici, alla costruzione di un’area di gioco, se avessero condizionato l’esito della gara!), si può vincere, allora la missione di ogni semplice uomo di “rimanere in piedi”, proprio con l’aiuto della “squadra” ( o del resto della società!) diventa possibile.

Perchè il fine non sempre giustifica i mezzi, nonostante l’abuso della citazione del XVIII capitolo del trattato di Machiavelli.  Il “fine”, ovvero la conquista e la conservazione del potere, non sempre giustifica l’uso della crudeltà e della dissimulazione, della forza e dell’astuzia.

Sconfessato, dunque, l’alibi di troppe malefatte frutto della debolezza umana, e come se fosse riecheggiato quel motto che tanto caro ci era diventato durante la pandemia da Covid-19, per cui “nessuno si salva da solo!”. Ecco è questo il messaggio che – sussurrato, urlato, ballato, segnato in LIS, e modulato con un compositore vocale – ci hanno lasciato i ragazzi del TeatraLIS. L’inclusione non è un concetto astratto, è un atto concreto, una pratica quotidiana, che dovrebbe essere ampiamente assorbita dalla mentalità e dall’approccio alla vita di tutti i giorni; non solo per superare e assimilare le diversità come risorsa, ma anche come potente strumento contro i “mali” e i “malesseri” dell’uomo.

Uniti si va più lontano… speriamo che lo capiscano in tanti.

“Padre, filo e spirito santo!”

Amen!

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