Giustizia sarebbe dare una risposta al “perchè?” che è la domanda che ci accompagna e ci tormenta durante ogni ora del giorno.
A parlare sono Claudio Regeni e Paola Deffendi, i genitori di Giulio Regeni, che – a distanza di sei anni dal sequestro e l’uccisione del figlio, avvenuto nel gennaio 2016 al Cairo, in Egitto, mentre svolgeva il suo lavoro di ricercatore per l’Università di Cambridge – non hanno ancora visto soddisfare il suo e il loro diritto di verità.
Non potrà esserci memoria finchè non ci sarà verità. Fino ad allora Giulio fa cose ( Feltrinelli,2020 ) nel senso che Giulio continua a tenere alto il ritmo della vita di tutto quel “popolo giallo” che continua a chiedere ad alta voce che sia fatta chiarezza sulla sua tragica morte.
In questo libro, che è una delle tante forme di resilienza messe in campo da papà Claudio e mamma Paola, con l’aiuto del loro avvocato Alessandra Ballerini che fin da subito ha empaticamente abbracciato la loro causa, dal punto di vista legale ed umano, emerge potente tutta l‘amarezza egiziana e italiana: quella dei “depistaggi egiziani” che ancora oggi non consentono di arrivare ad accertare esattamente i fatti; quella di “lontananze”, anche istituzionali. italiane che rendono latitante quella “solidarietà” che può essere sinonimo di giustizia.
Spesso la politica l’abbiamo vissuta, sentita, lontana dalla realtà, lontana, al di là delle parole, dalla nostra tragedia.
Fortunatamente “abbiamo una scorta mediatica ed affettiva” – confessano i genitori, che dedicano queste pagine ai loro giorni dopo l’arrivo di quella prima telefonata – il 27 gennaio 2016 intorno alle 14.30 – con la quale venivano allertati della scomparsa del figlio, avvenuta la sera del 25 gennaio.
Da quel momento la loro quotidianità è dovuta necessariamente cambiare e non perchè semplicisticamente sono – insieme alla sorella di Giulio, Irene – la “famiglia della vittima”, bensì perchè hanno dovuto imbracciare la lotta di due cittadini che intendono conoscere la verità sulle sorti di loro figlio.
Un cosmopolita, un cittadino europeo, cresciuto per viaggiare, conoscere, socializzare, attraversare il mondo e imparare a sentirsi a casa ovunque. Cresciuto con la capacità di vedere possibilità e non confini; cresciuto come Claudio e Paola non si sono mai – giustamente – pentiti di aver fatto.
D’altro canto sebbene qualcuno abbia recriminato sulla sua vita – tracciando a volte anche profili poco corrispondenti al suo – ha evidentemente dimenticato che il punto della questione non è la sua vita, ma la sua morte precoce e violenta– purtroppo.
Giulio è davvero un simbolo per molti. Anche per me. “Ci dicono spesso che Giulio ormai è diventato un simbolo. E forse lo è. Rappresenta la maggioranza dei giovani di oggi che studiano e cercano di migliorare la propria posizione sociale, che cercano di comunicare e di essere protagonisti in un mondo sempre più globale”.
Non è una consolazione per una madre che ha perso un figlio che non aveva scelto d’essere né martire, né eroe, ma un giovane ricercatore impegnato a far bene il suo lavoro; non è una consolazione dopo aver visto “sul viso di Giulio tutto il male del mondo”, ma la consapevolezza di che testimonia la vita di Giulio, oltre la sua stessa morte.
Giulio fa cose è un libro commovente nell’accezione in cui c’è tutta l’energia di una battaglia che i Regeni non hanno alcuna intenzione né di mollare, né di perdere.
Giulio “è stato colpito sul corpo, nell’animo e anche nell’intelligenza”, ma non sarà mai troppo tardi per chiedere “verità per Giulio Regeni”.