L’idea del progetto le è nata dal suo essere in lista per un intervento bariatrico ( intervento chirurgico mirato alla riduzione del peso ndr), “un capitolo fondamentale della mia vita” – dice. “Partivo anche da uno stato emotivo complesso, pieno di rabbia e voglia di riscatto. Stavo realizzando che la mia obesità non era un motivo valido per tutte le discriminazioni che stavo vivendo. Gli anni da obesa sono stati difficili, il mio corpo è stato uno schermo fra me e il resto del mondo, in pochi sono riusciti a vedere oltre alla mia forma fisica”.
“Il solo essere obesa – confida – dava alla mia persona un giudizio inappellabile, negativo, che si rifletteva in tutto, dalla vita lavorativa a quella sociale. Avevo paura ad uscire, venivo discriminata in ambito lavorativo. Contemporaneamente però il femminismo e il movimento Body Positive, scoperti grazie ad internet, mi hanno aiutato a capire che non dovevo accettare passivamente quanto mi stava accadendo. Io avevo un valore, una dignità umana, che andava ben al di là del mio peso. Questa realizzazione mi ha fatto emergere tanta rabbia e la decisione di voler raccontare come si vive in un corpo obeso”.
Vittima di “Body Shaming” – solo perchè caratterizzata da una patologia come l’obesità -, salvata dall’àncora del “Body Positive” – grazie a letture approfondite di saggi di filosofia che le hanno dato coraggio e voglia di lottare -, il progetto fotografico – ma anche scultoreo con la creazione manufatti iconici dei suoi stati d’animo da aggiungere al set – è diventato un viaggio di creazione ed introspezione soprattutto nella consapevolezza che la conclusione del percorso artistico avrebbe coinciso con l’intervento chirurgico.
Una condizione di partenza che le ha dato anche “un vantaggio un filo ipocrita”, ma che sicuramente ha trasformato il tutto anche nella celebrazione di un “saluto” alla vecchia forma di sé.
“Non so se avrei avuto lo stesso coraggio – spiega la Mattioli – a mettermi a nudo se non avessi saputo che quel corpo era solo una fase transitoria. L’altra verità è che con gli anni ho perso il legame con un corpo che mi ha fatto tanto soffrire; non riesco a percepirmi e a visualizzarmi, tutt’ora non so che forma ho. E sto bene così. Ma quando rivedo il mio corpo nelle foto o ora mi guardo allo specchio, provo distacco. Così è stato facile documentare il mio fisico, non ne ero più investita a livello emotivo, potevo sacrificarlo per il mio racconto. E’ stato comunque un addio rispettoso e pieno di tenerezza, perché è un corpo che mi ha accompagnato per anni e che non meritava tutto quel dolore. Lo stesso rispetto che volevo trasmettere a chi eventualmente avrebbe potuto riconoscersi in quel progetto”.
Stefania Mattioli non hanno mai sostenuto che l’obesità fosse sana, ciò che avrebbe sempre voluto però sarebbe stato l’imprescindibile rispetto che si deve ad ogni essere umano. Oggi, quella che definiamo “Body Neutrality” è un traguardo, benchè l’auspicio la collocherebbe a condizione di partenza, è un pensiero che “riporta forse una visione del corpo meno estrema, più razionale, ma prima di questa consapevolezza – pensa la fotografa fiorentina – ben venga il Body Positive con la sua lezione di amore verso ogni corpo”.
Lei si è operata poco prima che scoppiasse la pandemia; la sua trasformazione corporea, il suo dimagrimento è avvenuto nella solitudine della sua famiglia e uno stretto gruppo di amici. Quando ha ripreso ad uscire, con l’estate, è rimasta “stupita dalla gentilezza delle persone, motivandola con la pandemia”, ma poi…?
“Poi ho realizzato: non era la pandemia ad aver cambiato l’atteggiamento delle persone, ma il mio nuovo corpo. Non c’era più lo scherno, la curiosità morbosa, la pena, le prese in giro. Mi ha turbato tanto questa cosa, perché io sono sempre la stessa”.