Un dettaglio: dal Congo importiamo cobalto ma non vogliamo le persone. Dall’Etiopia, dal Madagascar, dalla Somalia, dal Burundi si parte principalmente a causa della siccità. Dal Sud Sudan e dalla Repubblica Centrafricana si parte perchè non è possibile ipotizzare un futuro in aree colpite da continue guerre civili. Così come si parte dal Camerun, dalla Nigeria, dall’Uganda, dal Kenya.
La vita di ognuno di noi è costellata di arrivi e partenze, da una migrazione continua e costante che, per i nati nell’angolo “giusto” della Terra, si snoda anche silenziosamente. E’ ricoperta di insulti, malumori, stupida indignazione e colpevole incomprensione, la migrazione di chi decide di partire degli angoli difficili – resi negli anni più bui – del Pianeta. Eppure il percorso della speranza e la meta della realizzazione – se non addirittura della salvezza – è la stessa, soprattutto quando non si è a bordo di un aereo di linea – magari in prima classe – o seduti sulla poltrona di un vagone ristorante di un treno, ma in un mare sconfinato di incertezze e sciabordii inarrestabili. Una distesa d’acqua che – in un nonnulla – può diventare un mare in burrasca a cui vanno in sacrificio più vite di quelle che mai bisognerebbe poter immaginare. Ciò accade perchè In mare non esistono taxi.
Sono queste parole a comporre l’ultimo titolo firmato dal giornalista e scrittore Roberto Saviano, edito Contrasto – 2019- che “nuota” nel fondo di quel mare dove spesso annegano – con la sola forza dello schiaffo di un’onda – desideri, speranze, alle volte – in una sola parola – bambini.Così Saviano ha cercato di raccontare tutto questo partire, tutto il suo arrivare e tutto il suo affondare, nonostante i soccorsi delle navi delle Ong, ricche di volontari la cui vita è a disposizione della vita stessa, in quanto tale.
“ […] Attaccare persone che cercano di fare del loro meglio per salvare gli altri, e fanno un lavoro straordinario, è una volgarità senza fine” .
Raccontare tutto questo è difficile – si legge già in copertina – smontare le menzogne è difficile, ma contro la bugia non c’è altra pratica che la testimonianza. Quest’ultimo aspetto è supportato dalle fotografie mozzafiato di Martina Bacigalupo, Olmo Calvo, Lorenzo Meloni, Paolo Pellegrin, Alessandro Penso, Giulio Piscitelli, Moises Saman, Massimo Sestini e Carlos Spottorno. Potremmo quasi dire – senza tema di smentita – che sono proprie le fotografie le reali protagoniste del libro, attorno a cui nascono le riflessioni, i testi di Saviano, ma soprattutto le belle interviste proprio ad alcuni dei loro autori, nonché alla volontaria Irene Paola Martino, infermiera della nave Bourbon Augos.
Le loro parole sono quella “testimonianza” – tra l’altro di matrice diretta – di cui Saviano si pone intento; le immagine, chiaramente, vanno nella medesima direzione e raccontano i momenti che hanno immortalato, lasciandone traccia per sempre, pur seguendo una logica, un punto di vista, uno sguardo totalmente soggettivo che in ogni caso, però, in grado di restituire tutto il carico emotivo compresso in quei pixel. La fotografia – come ogni altro linguaggio – ha un suo alfabeto ed una sua grammatica che nelle foto comprese nel libro, intendo restituire un messaggio molto chiaro di ricordo e di “prova”, soprattutto pensando a quel conto che la Storia – prima o poi – potrebbe portare di quella “Fossa comune”, così come diverse persone hanno definito il Mar Mediterraneo, o di quella “Malattia dei gommoni” di cui solo chi ne ha disinfettato le ferite della pelle martoriata può conoscere la gravità.
“Nutro molti dubbi sulla portata e sulla capacità della fotografia, e chiedere alla fotografia di cambiare il mondo è forse troppo. Ma immaginare un mondo senza fotografi, senza videografi, senza persone che vanno a vedere, ecco quello è un mondo che mi fa paura”.