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“Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” autentico e dolore inesorabile

L’amore autentico – quello di cui l’uomo è sempre, anche inconsapevolmete, alla caccia – vince sul dolore inesorabile – quello che ci rende feroci e pronti a tutto. Sembra un insegnamento elementare, ma la semplicità non lo rende né un costrutto ridondante, né una lezione facile da trasmettere e percepire. Ci vuole una storia, come quella del vecchio Antonio Josè Bolivar per disegnare questa saggia verità e ci vuole una penna quella di Luis Sepùlveda per raccontarla.

Il vecchio che leggeva romanzi d’amore è la sapienza speciale dell’anziano uomo che, conservando i ricordi di un’esperienza di colono finita male e dell’amore con la sua sposa intrappolato in un ritratto in bianco e nero affisso al muro, ha imparato a vivere nella grande foresta amazzonica ecuadoriana insieme agli indios shuar, partendo dall’assunto che:

“di giorno c’è l’uomo e la foresta. Di notte l’uomo è la foresta”

Solo un uomo con una consapevolezza così profonda viene ritenuto all’altezza – nonostante la sua veneranda età, benchè egli stesso non si consideri un cacciatore – di uccidere la femmina di “tigrillo” – un enorme felino – che accecata dal dolore per l’inutile sterminio dei suoi cuccioli cerca vendetta tra gli uomini.

“Una femmina impazzita di dolore è più pericolosa di venti assassini messi insieme”.

Antonia De Francesco con “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”

A ben vedere è una storia apparentemente di “giustizia”, formalmente di “violenza”, ma fondamentalmente d’ amore. E chi più di Antonio Josè Boliver – appassionato di romanzi d’amore – profondamente curioso d’ogni manifestazione più vera di questo sentimento – poteva riconoscerlo ed accompagnarlo alla quiete.

«Come sono i libri d’amore?»

«Di questo tempo di non poterti parlare. Ne ho letti appena un paio»

«Non importa. Come sono?»

«Bè, raccontano la storia di due persone che si incontrano, si amano e lottano per vincere le difficoltà che impediscono loro di essere felici».

Quello che riconosce il saggio Bolivar è il legame disperato che la femmina di “tigrillo” sente spezzato con quella sua prole indifesa. Quello che riconosce l’anziano Bolivar è il disamore che gli uomi hanno per l’ambiente, la natura e i suoi abitanti principali.

“Antonio Josè Bolivar si occupava di tenerli a freno, mentre i coloni rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto”.

Quella che si instaura tra i due è una vera e propria lotta, come con un legittimo avversario a cui si renda l’onore delle armi. E’ uno studio fatto di osservazione, pazienza, studio, strategia, che si conclude con un attacco per difesa a chi si difende per attacco. Fino a quando la “bestia di metallo odiata da tutte le creature” non colpisce quell’animale disperato riconsegnandolo alla pace. Allora Il vecchio che leggeva romanzi d’amore:

“Con gli occhi annebbiati dalla lacrime e dalla pioggia, spinse il corpo dell’animale fino alla riva del fiume, e le acque se portarono via, vero l’interno della foresta, fino a territori mai profanati dall’uomo bianco, fino all’incontro col Rio delle Amazzoni, verso le rapide dove sarebbe stato squarciato da pugnali di pietra, in salvo per sempre dalle bestie indegne”.

A lui, invece, restavano la sua dentiera posticcia, la sua capanna maldanta e i suoi romanzi “che parlavano d’amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana”.

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