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Fabrizio De Andrè: “Ma sotto le ciglia chissà”, i diari che fecondano il pensiero

Muore davvero un uomo i cui frutti del pensiero rapiscono ancora l’attenzione della sensibilità regalandole bellezza e attimi d’ossigeno? E’ davvero molto semplice porsi una domanda del genere se ci si ritrova a capofitto nelle pagine di “Sotto le ciglia chissà – I diari” di Fabrizio De Andrè (Mondadori – 2016). Pochi giorni or sono, lo scorso 11 gennaio, il tempo ha scandito il diciannovesimo anno della morte del poeta, cantautore, ma aggiungerei anche filosofo, in quanto libero esercitante del pensiero. Quel pensiero avvizzito, annoiato, stereotipato che oggi non guarda, non vive, non gioisce e non piange in questa nostra società paralizzata dagli incubi del futuro, da certa bruttezza del presente e da diversi rimpianti del passato, anche se il tempo lo abbiamo inventato noi.

Fabrizio De Andrè è un vuoto. Un rimpianto. Era il 1999 quando Genova, la sua eletta Sardegna, tutta l’Italia, piansero il suo ultimo respiro e ogni anno in tantissimi ricordano il toccante momento dei funerali, avvenuti della Chiesa di Carignano il 13 gennaio.

“Sotto le ciglia chissà” non è un libro qualsiasi, è un diario, una raccolta di appunti su quaderni, fogli sparsi, citazioni da libri, stralci di note su agende, buste, sacchetti, insomma supporti di ogni tipo che hanno raccolto intuizioni, curiosità, stimoli che non potevano sfuggire. E un via vai di emozioni: una montagna russa di lacrime e sorrisi goliardici. Ho sempre delle remore nel leggere un diario, perchè ho come l’impressione di commettere un atto impuro, di spiare, di rubare, di sottrarre un’intimità che forse non c’era destinata. Ho ceduto alla tentazione, però, perchè avevo bisogno di un po’ di profumo di libertà, di immaginazione.

Antonia De Francesco con “Sotto le ciglia chissà – I diari”

La sua voce, le sue parole, sono da sempre caratterizzate da una capacità di osservazione che mi pare talmente lontana da sembrare un rimpianto; un’umanità così attualmente recondita da risultarmi un rimorso; una profondità così persa da lasciare un senso di sopraffazione. Le sue riflessioni capaci di tanta trasversalità, radicate in temi universali, ancora forti di unire generazioni lontane, hanno lasciato germogliare nei miei pensieri nati dalla lettura, ancora una volta, come mi capita costantemente con le canzoni, tristezza consapevolezza e poi, come succede ai più innamorati della vita, la speranza.

E poi a un tratto l’amore scoppiò dappertutto” – si legge sull’ultima pagina e mi sembra di vedere Il pescatore “sfamato” da chiunque, Andrea libero di amare chi vuole, l’amore sacro a spasso con l’amore profano senza nessuno che punti il dito. Sto lasciando diluviare una serie di sensazione che ho provato senza, probabilmente, dirvi realmente perchè leggere “Sotto le ciglia chissà”. Ora provo a recuperare. Leggetelo se vi sentite Anime salve.

Anime salve sono i solitari. I diversi, quelli che stanno ai margini, perchè ce li ha cacciati il sistema o perchè l’hanno scelto loro. Salvi, perchè soli, perchè liberi, perchè lontani da questa civiltà da basso impero, dove i bambini vengono stuprati e gli adulti si arrabbiano solo quando gli rubi l’argenteria.

Mi sono consolata, ho trovato qualche conferma e qualche risposta e chissà che non possa accadere qualcosa del genere anche voi. De Andrè è un modo di scegliere di interpretare il viaggio della vita proprio e degli altri. Un modo che sicuramente non è quello che predomina, ma la volontà è che almeno oggi ne sopravviva uno stralcio che possa crescere, d’altro canto:

[…]Ma sotto la neve chissà che cosa

sotto la neve chissà.

Ma sotto la foglie chissà che cosa

sotto le foglie chissà

Ma sotto le ciglia chissà che sogni

sotto le ciglia chissà. […]

Buona letttura. Buon respiro. Buona bellezza. Buona speranza.

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