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La versione di C. : suona l’altra faccia del disco De Andrè

Il lato “C.” di una vita vissuta sulla traccia biografica e artistica di un padre immenso e di un figlio grandioso nel riconoscere le luci e le ombre di un’esistenza che si muove, inevitabilmente, in questa cifra. Quanta forza richiede essere figlio delle ballate di un poeta rivoluzionario come Fabrizio De André ed essere a propria volta padre? La versione di C., il libro scritto da Cristiano De Andrè con Giuseppe Cristaldi, per Mondadori, probabilmente comincia proprio da qui; dalla domanda che sorge quando un figlio, Cristiano, scrive, sulla quarta di copertina, la chiave per leggere l’intero “spartito”: Mi guardo allo specchio e ti rivedo ancora […].

Un atto d’amore sconvolgente che dà l’impressione di volersi riconciliare con un passato che incombe, da sempre, nel presente di un cantautore ed interprete strepitoso, e con un futuro del quale non sembra lasciare la presa. Così nelle parole di un figlio che vive nella necessità di approvazione di un padre come Faber, come succede a tutti misurandosi con l’immagine dei propri genitori, ed un bisogno di fare i conti con se stesso, sembra nascere questa sorta di diario-confessione, che tira dentro dolcezza, errori, figli e passioni. E poi c’è lei, la musica, che riecheggia nelle pagine come una colonna sonora senza tempo, insieme a tutti quei valori di giustizia sociale e purezza vitale che solo un’arte, intesa come modus vivendi, può veicolare.

Quello che non hai a volte è una risposta e la rincorri. Quello che non hai alle volte è una domanda precisa, figuriamoci la risposta. Quello che non hai a volte è te stesso e ti cerchi disperatamente, sperando di poterti ritrovare anche distante dalle tue origini. Allora imbracci una chitarra, una macchina fotografica, una penna: ad ognuno il suo strumento per lasciar specchiare la realtà.

Arriva un momento in cui si chiede, prima ancora che agli altri, a se stessi comprensione: per perdonare e perdonarsi, o forse senza troppa presunzione, semplicemente vivere meglio. Arriva un momento in cui bisogna “crescere” e per farlo si ha bisogno di capire, di rileggersi. Parola dopo parola è questa la sensazione intrinseca, tanto che se non fosse firmato da C., che abbrevia il nome dell’autore, così come era solito chiamarlo il suo papà, sembrerebbe la storia tormentata e costellata di successi e nubi, di chiunque altro avesse dovuto fare i conti con il suo tempo.

Ma questo libro è speciale ed il tempo in questione è quello di C.: il bambino nato da un cuore che fa “Bum”, che impara a pescare in Gallura, che si perde nel “Giro leprotti” a Portobello, che cresce con il cane Libero; il ragazzo che impara a suonare, che viaggia, che si innamora. Sono i giorni di un rapimento che sospende il battito e di una morte che pesa almeno quanto un’esistenza.

Mio padre cominciò a parlare: « Vedi, le stelle sono lontane da noi troppi, troppi chilomentri. Per fare prima si calcola la distanza in anni luce. Ogni anno luce corrisponde a quasi diecimila miliardi di chilometri, hai idea delle dimensioni? La luce delle stelle, per arrivare ai nostri occhi, impiega centinaia di anni. Hai capito?» […] I miei genitori mi favorivano l’accesso ad un mondo dove il tempo non aveva più senso, e lo facevano con una delicatezza e una pazienza inaudite: « La luce che noi vediamo non è quella attuale, ma quella di tanto e tanto tempo prima, per questo non è ancora arrivata, hai capito? La maggior parte di esse probabilmente è già spenta e non lo sappiamo… » Vi giuro che ancora oggi, a distanza di decenni, vivo il fenomeno con lo stesso stupore. Quando mi sdraio in terrazzo, vedo il passato delle stelle, ma anche quello dei genitori che non ho più.

Se doveste leggere La versione di C. cominciate da qui: dalla dolcezza di un figlio che vuole “diventare grande” e si ritrova ad aprire il cassetto dei ricordi e l’album di famiglia, da cui estrapola e propone alcune “immagini”ed alcune fotografie.

D’altro canto non è dato saperlo, ma se non fosse casuale la posa della foto in copertina, sarebbe chiara, anche attraverso l’alfabeto di un’antichissima simbologia, l’associazione tra mano e occhio che, secondo tradizione, pare rappresenti la relazione emotiva fra l’individuo e il mondo in cui vive, ad esempio quel mondo in cui probabilmente c’è un figlio che si “ svolge ” ( come uno scritto) da C. a Cristiano.

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