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Lettori “Dal Margine” con il romanzo di Vincenzo Di Pietro

Dal margine leggi la storia, da lì la guardi e lì rimani: Dal margine, omonimo titolo del romanzo di Vincenzo Di Pietro. Quella di Valerio non è una storia scritta per viaggiarci dentro: è la sua vita di pittore, di artista intrappolato nelle sue precarie percezioni, in passioni amorose tra Giulia e Chiara che lo sovrastano, o meglio che adombrano la stabilità di sapere accanto a sè Laura, la compagna di anni con la quale è in progetto il grande passo del matrimonio.

Quella di Valerio è una crisi bella e buona, ma non di quelle drammatiche, strappalacrime, piuttosto ciò che sembra è un novello picaro che resta a galla nei suoi attimi rocamboleschi facendoti recuperare qualche sorriso e qualche risatina. E tu li vedi quegli attimi, li segui: lo immagini perdersi negli occhi di Giulia, mentire a Laura, possedere sessualmente ed anche un po’ brutalmente Chiara, un po’ come un esaltato che davanti a tante bottiglie, invece di scegliere, ne prova un sorso di tutte, e forse non è neanche troppo convinto di volersi ubriacare davvero.

E tu stai lì, mentre si perde per le strade di Roma, come se lo spiassi dal margine dei fogli su cui corre la penna che lo inventa: lui sta al margine della sua vita, giace nella paura di agire e nella pazienza di aspettare e mette lì anche il lettore, a cui idealmente sembra dire: « Guarda? Vedi che mi succede? Ora te lo mostro… ». E si prodiga di dettagli Vincenzo Di Pietro, conquistandoti, in un linguaggio pulito, appropriato, ritmato. In un’azione che non si perde mai in una tridimensionalità troppo lunga, o profonda.

Valerio trasloca a Roma davanti a te che leggi, sistema casa davanti a te che leggi, corre con i suoi pensieri e te che leggi ( e percepisci un vago fiato corto all’idea dei chilomentri che percorre!). Perde il controllo davanti a Giulia e a te che leggi, capendo che la sua anima più vera rende i suoi quadri unici e lo consacra al successo, riuscendo a scansare uno pseudo-controllo della sua esistenza e stringendo le briglie della capacità di scelta.

Ma quando lo fa, ti chiude fuori. Chiude la porta della stanza in cui vive davvero, quella in cui dipinge. Resti fuori. Valerio ti lascia fuori, o forse lo fa Vincenzo, che probabilmente in comune col suo personaggio ha qualcosa in più di una semplice iniziale del nome, chissà. Sì, perchè a quel punto del racconto, sulla sua conclusione, in uno scatto di orgoglio c’è la rivendicazione di un’intimità e come da un bambino dispettoso ti senti spinto giù anche dal margine. Come a dirti: « Hai guardato? Hai visto che mi è successo? Ora basta, vattene, altrimenti mi giudicherai… ».

Così la scena si chiude su un nuovo lussurioso peccato con Giulia, che ai più ingenui farebbe pensare che Valerio abbia scelto di lasciare Laura, di scegliere la nuova passione…Ma io vi dirò la mia… Secondo me, nulla di tutto questo. Giulia è irresistibile ed infatti Valerio cede. Cede a sé stesso, all’eccitazione delle prime giornate del suo ritorno a Roma.

Cede e cade. Cade e cede. Ma chiude la porta, perchè il lettore non possa giudicarlo, quando facendo finta di nulla tornerà in sala da pranzo, in mezzo agli altri, e farà finta di nulla, scegliendo di non scegliere. Scegliendo di scegliere ancora Laura e inventandosi che non esista, quando la sua presenza non incombe.

In un finale aperto, io immagino questo perchè Dal margine è solo una sfida rimandata. Dal margine dà decisamente la sensazione di leggere un film. Dal margine hai la sensazione della profondità ma non la vedi. Dal margine osservi solo il tassello di una storia più grande di cui si accenna il senso, ma non si completa il quadro e sembra dirti: « forse ti farò sbirciare ancora un po’…arrivederci alla prossima puntata!».

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