Confesso. Non era questa l’esperienza letteraria della giornalista Nadia Toffa che avrei voluto leggere. E’ stato un “imprevisto”– frutto di un fraintendimento in fatto di regali – che mi ha portato ad apprezzare – in maniera vera e profonda, tutto d’un fiato – le parole di Fiorire d’inverno – La mia storia (Mondadori, 2019).
Perchè è così. Sono gli “imprevisti” a governare realmente le nostre vite: il non previsto è quello su cui ogni essere vivente si misura realmente con tutto il suo bagaglio di emozioni e nozioni che porta con sé magari grazie a ciò che – invece – ha vissuto pianificando. L’ “imprevisto” prescinde dal potere di scegliere, ma non ti esula dall’esercitarlo. Anzi. Questa è una delle “lezioni” che attraversa questo snello diario di bordo de La Nanetta – così come il suo papà chiamava la Toffa – pieno di ognuna delle cinque punte di cui è costellato: energia, entusiasmo, istante, felicità e sincerità.
C’è davvero tutto questo, esattamente come avrebbe voluto e come – probabilmente – si è accorta di essere riuscita a centrare. C’è l’ “energia” della bambina che trova nello sport la forza della disciplina, del sacrificio e di quel pizzico di spericolatezza che non guasta per spingersi sempre un po’ oltre se stesso; l’ “entusiasmo” della giovane studentessa partita da Brescia alla volta di Bologna per studiare all’università e scoprire il mondo viaggiando, sperimentando tanti lavori per essere indipendente sotto ogni punto di vista; l’ “istante” in cui ha capito per quale lavoro dare il suo entusiasmo e la sua voglia, quello dell’imprevisto, dell’intuizione di perseverare. Il tutto con la “felicità” e la “sincerità” di chi ha provato a non mentire mai a sé e agli altri; raccontando storie vere, vissute in prima persona per essere raccontate al meglio. Il tutto senza rimorsi, né rimpianti.
“Quando ero piccola era pieno di cani senza guinzaglio e nessuno mi diceva di non avvicinarmi, me la cavavo lo stesso per conto mio. C’era meno apprensione, più libertà, la dignità di poter sbagliare. E’ bellissimo poter sbagliare, se mi guardo indietro rifarei tutto. Mi guardo indietro per andare avanti”.
Nadia come un Calicanto per questo e per molto altro. Per quel codice 048 – il codice che il Servizio Sanitario nazionale assegna ai malati oncologici per l’esenzione del ticket – che non le ha impedito nulla, anzi – come la contraddizione incarnata da un fiore che fiorisce in inverno – le ha fatto maturare ancora più voglia di lottare, di parlare, di far sentire la mia voce.
E’ non è che una guerriera come Nadia non riporti ferite o non senta dolore, quello della mancanza di tatto di chi le si è avvicinato senza filtri ricordandole ad ogni piè sospinto la sua malattia; quello della malafede di pensare che si possa annunciare di avere il cancro per finta.
Fiorire d’inverno non racconta l’ “ultimo inverno” di Nadia Toffa, ma di tutti quelli durante i quali lei è fiorita e rifiorita rigogliosa, attraversando le gelate della fatica, della perseveranza e della delusione e della ripartenza. Nadia Toffa non è quella del cancro. E’ quella di cui ho letto ovvero esattamente quella che tutti dovremmo avere imparato a conoscere attraverso lo schermo televisivo in cui è comparsa con la sua giacchetta nera anche quando i suoi capelli non erano più gli stessi.
“[…]Le cose veramente belle di questo mondo ti spettano: viaggiare, volare, correre, tuffarsi in mare, fare l’amore, ridere a crepapelle. Perciò, se non si vuole perdere la bellezza, bisogna lasciare che la vita ci spettini”.
Nadia ha amato la vita, ancor più quando ha smesso di chiedersi – come a tutti potrebbe accadere – perché proprio a me e ha cominciato a pensare che il cancro è stato un ponte, tra lei e le emozioni più intense, selvagge, sottili, quelle che ho tenuto sempre a freno, imbrigliate dal desiderio di controllare, dirigere, pianificare. Dalla paura.
E’ vero questo libro è stato un imprevisto, ma quando nell’introduzione di Lorenzo Marini ho letto E regalatelo a chi ha fame di vita. Come la grande Toffa. Come la piccola Na. –sono stata più che felice di averlo ricevuto e – aggiungerei – che ho capito quale spirito ha guidato la mano di chi per me l’ha preso dallo scaffale.
Quando l’ho richiuso ho ripensato a Nadia. A quanto mi abbiano commosso i giorni in cui è andata via; a quante volte ho ripensato a quell’emozione che mi regalò diversi anni fa ri-twittando col suo profilo un articolo con il quale annunciavo la sua presenza in un evento letterario insieme a Don Patriciello; a quanto condivida il suo modo di interpretare il giornalismo.
“[…] riuscire a dire il più possibile di un fatto reale, che interessa la pubblica opinione o riguarda l’interesse pubblico, senza finire nei guai con la giustizia”.