Quanti signor Bianchi di Varese ci sono sempre stati? E quanti ne sono nati ultimamente? Quanti bambini possono godere del privilegio di ricevere in dono, ogni sera, una storia; quanti adulti ricordano quanto sia importante dar luogo a questo “rito”? Sull’onda di tutte queste domande mi sono detta che sarebbe stato proprio entusiasmante ri-leggere Favole al telefono (Einaudi Scuola, 2001), del formidabile Gianni Rodari.
La pandemia ha dettato l’obbligo di ripensamento ed ha catapultato il mondo dell’infanzia e della scuola in una sorta di profondo salto spazio-temporale, richiedendo l’abbattimento della misura fisica e optando per quella web. Gli insegnanti, così come lo è stato lo stesso Rodari, hanno continuato a “far suonare la campanella” avvalendosi di dispositivi, supporti digitali ed anche tanta tanta “creatività”.
Questo rende attuale Rodari, che della “creatività”, ha fatto mestiere di vita e dei bambini priorità sociale e culturale. L’ex-maestro, poi giornalista e scrittore con grande fantasia ha rinnovato la letteratura per l’infanzia, senza andare troppo oltre quelle che possono essere definite le cose di ogni giorno o del mondo vero, ma messo a fuoco con umorismo e la libertà dell’immaginazione. Le favole, come qualsiasi momento di comunicazione, non deve racchiudere menzogne, ma suggerire nuovi modi di vedere la realtà, ma quella vera.
In questa emergenza, dunque, soprattutto nel relazionarci con i più piccoli – i veri ( gli unici?!?) custodi del futuro futuribile – Rodari diventa più di un autore o di un moderno educatore, ma un vero e proprio “stile” nel quale la sua “fantasia” diventa il modo di tradurre la realtà in un linguaggio consono ai bambini, ma anche di scrivere un futuro, prossimo o anteriore, immaginandolo migliore, disegnandolo con “cura e colori”.
Favole al telefono, riletto da adulta, non solo mi ricorda certi solletichi infantili ad inventare un mondo possibile, più bello volendo, ma mi ricorda anche quanto sia importante trasmettere questo potere ai nuovi piccoli anagrafici affinché imparino che il mondo/realtà si può cambiare, si può migliorare ed il potere di farlo sta prima nella testa – mentre batte nel cuore – e poi nelle braccia che danno propulsione alle idee (non il contrario!).
Così C’era una volta… un bambino che si perdeva, pezzo per pezzo, ma che la comunità aiutava a ricostruire ( La passeggiata di un distratto); tre fratellini che perdevano la strada del ritorno ma solo perchè dolce e di cioccolato (La strada di cioccolato); scimmie dello zoo che trovavano noioso viaggiare solo perchè non era mai uscite dalla gabbia (Le scimmie in viaggio); anziani muratori che per costruire le “case” degli altri si sono ritrovati senza (Case e palazzi).
Tanti luoghi, tanti personaggi, tante vicende e tanto estro: palazzi di gelato, numeri che parlano, ascensori che salgono nello spazio, gamberi che vanno in avanti, bambini trasparenti, tutte immagini che finiscono con l’arricchire il mondo di tutti i giorni o che comunque ad esso spingono a pensare. Spingono a ripensarlo.
Allora il mio pensiero va all’ultima favola, Storia Universale:
“In principio la Terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella fatica. Per passare i fiumi non c’erano ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un pacchetto. Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali. Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. Da correggere, però, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti”.