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“Estelle” che s’ecclissano nel buio regale della vita

Estelle (Cuzzolin, Napoli 2018) è una principessa, ma è prima di tutto un’ adolescente bionda e pallida, la figlia di un padre iperprotettivo, l’abitante di un castello troppo grande che sembra contenere il mondo, ma che dal mondo la tiene lontana. Estelle è principessa, ma solo perchè di fiabesco c’è il tentativo del suo inventore, lo scrittore Massimo Piccolo, di regalarle la romantica speranza di un amore con un il giovane suonatore di accordiòn, per liberarsi della sua vita patinata e disanimata.

Questo perchè quando tutto intorno si fa buio, i più piccini ci insegnano come una fiaba sia in grado di accompagnarli in una notte di sonno tranquillo. Perchè quando tutto il mondo attorno si fa asfissiate, più brutto di quello che potrebbe essere, una fiaba diventa una boccata di mondo altro. Un po’ inventato, ma se tante sono le fiabe vuol dire che qualcuno prima o poi il lieto fine dovrà averlo pur vissuto, altrimenti chi le raccoterebbe ancora? E soprattutto perchè? Così vive la fiaba nei sentimenti della contemporaneità: incarnando l’ingiustizia di una suggestione che non si fa realtà e la speranza di a chi, infondo, non resta altro che provare a crederci di nuovo.

“Nessuno può pretendere un miracolo. Però magari, a volte, può capitare di aspettarsi qualcosa di impossibile. Come in una riffa: nessuno si aspetta davvero di vincere ma a tutti capita, almeno per un momento, di immaginarlo”.

Nessuno può pretendere perchè, nel tempo, soprattutto le donne hanno compreso che a volte non c’è e spesso non serve alcun principe che ti salvi la vita. Nessuno può pretendere perchè anche il tempo diventa relativo e l’amore non sempre salva. Così le tre notti di una festa indimenticabile diventano un’eternità; i tre anni di una vita matrimoniale diventano non durano più di una pagina, di un regalo vezzoso, di un sorriso spento e di un’espressione rivolta al vero grande amore. Così tre notti diventano poco più di qualche riga di dolore e poi di liberazione guardando per la prima volta l’immensità di un amore, simile solo all’amore che per pochi istanti travolse Estelle e Juan, il suonatore di accordiòn, troppo povero per asperiare alla sua mano.

Oltre la favola, Piccolo usa Estelle per parlare di un amore che appare tutto e niente, che crea e distrugge, che sia esso paterno, filiale, amicale o dell’uomo il cui pensiero mai si allontano dal suo volto. Piccolo presta Estelle ai mali che non hanno nome che crescono nell’inconscio come gramigna e non sempre è possibile estirpare. Piccolo innalza Estelle alla libertà di darsi il, seppur struggente, sollievo, tanto agoniato.

Nell’impossibilità di pensare ad un presente immutabile o nell’immensità di un potente atto liberatorio, bisognerebbe chiederlo all’autore.

Quella di Estelle non è una storia dolce, se non per la scena delle leccornie divorate da Juan e lei nella cucina, nel posto e nel gesto che li unisce nel modo più vero e primitivo che possa esserci quello di cibarsi di deliziosi dolci e di loro stessi. La passione.

Quella di Estelle è una storia vera e disperata. La storia dell’incantesimo di un amore che si spezza violentemente, ma nell’implacabile volontà di una donna del cui gesto si rimane a chiedersi se sia stato la realizzazione o la sopraffazione di un desiderio.

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