In Italia tutti sanno chi è Emanuela Orlandi, Emanuela è la sorella di tutti. E’ una delle frasi più reali nell’intesa trama del romanzo La verità sul caso Orlandi del giornalista e scrittore Vito Bruschini. Pagine che si snodano in una ricostruzione verosimile di uno dei casi più dibattuti della cronaca nera italiana.
Emanuela, quella ragazza di cui tutti conserviamo l’immagine in quella foto col nastrino attorno alla testa, è un dolce ricordo per la coscienza collettiva, ma è soprattutto ancora oggi un enigma rispetto alla sua scomparsa avvenuta nel lontano 22 giugno del 1983 alla fine di una lezione di musica. Quindici anni, bella, alta, castana, frequentava il secondo anno del liceo scientifico. Profondamente credente, amante dei fumetti, dei pinguini e della musica: suonava il flauto traverso ed il pianoforte.
Il giorno della sua scomparsa alle porte del Vaticano, un’intera famiglia è piombata in uno stato di fiato sospeso che, probabilmente, dura ancora oggi che un punto definitivo questa storia non trova. Il papà Ercole, mamma Maria, il fratello Pietro, le sorelle Natalina, Federica e Cristina.
Tante piste di indagini, da quella scandalistica sessuale a quella internazionale, ma nessuna ha restituito una ricostruzione definitiva all’improvvisa scomparsa di questa giovane donna.
Bruschini nella sua ricostruzione romanzata rende, come allo specchio, tutte le “autostrade” di ipotesi percorse negli anni, lo fa toccandole, raccontandole, in una chiave verosimile. Lo fa accompagnando quello che è stato un film uscito nelle sale cinematografiche per la regia di Roberto Faenza La verità sta in cielo. Lo fa ricostruendo gli stati d’animo delle persone che si incrociano in questa triste vicenda.
Bruschini restituisce tutta l’ansia, la preoccupazione e lo strazio che una vicenda tanto drammatica lascia esplondere nelle dinamiche di una famiglia colpita e pian piano in tutte quelle famiglie che, negli anni, hanno seguito, appassionandosi e facendola un po’ loro, la storia di Emanuela dagli schermi televisivi o dalle pagine di giornale. Restituisce le sensazioni delle aspettative ogni qualvolta una piccola scoperta sembrava poter restituire un punto di svolta sulla verità. Ne rende in particolare l’idea aprendo le pagine del romanzo proprio col racconto di un momento in cui si credette di averla ritrovata presso un monastero di clausura di Peppange in Lussemburgo ed invece non era lei.
Si è subito fiondati così in quelle montagne russe emotive in cui bisogna essere disposti a viaggiare lungo una ricostruzione che rende bene l’angoscia, e non solo, degli attimi di una scomparsa che non trova epilogo. Quanto di più brutto può accadere al mondo se non ignorare le sorti di una proria figlia? Se consideriamo contro-natura per i genitori la morte di un figlio, figuriamoci quanto non possa consolare non conoscerne il destino. E’ difficile immaginarlo con concretezza. Quel buco nero nel quale forse si piomba lo può raccontare, indubbiamente, chi lo ha realmente vissuto, ma Bruschini con la sua letteratura riesce, senz’altro, a farci affacciare in quel buco, tanto da coglierne, vagamente, tutta la frustrazione che dentro di esso risiede.
Forse, un modo come un altro di ottenere quanto meno una giustizia emotiva, visto che tra le parole risuonano lapidarie quelle che affermano che nel mondo non c’è più compassione. Per questo uno dei passaggi più toccanti del libro non potrebbe che essere il seguente:
«Un’ultima domanda, Pietro. Che cosa vorresti dire a tua sorella, se oggi potessi parlarle?»
«Oggi potrei dirle poco perchè sarei di fronte a una donna di quarantacinque anni. Ma più di una volta, in tutti questi anni, ho pensato alle cose che avrei potuto dirle quando ne aveva quindi di anni e che non ho avuto il tempo di dirle…»
Non vi dirò leggete e capite, oppure leggete e scoprite. Quello che vi suggerisco è: leggete e commuovetevi.