Dio, è una delle parole più brevi e più potenti di tutto l’universo linguistico ed umano. Sarà per questo che affascina oltre modo, credenti e non credenti, appassiona dibattici sulla natura del mondo e dell’essere umano, accende desiderio di razionalità e sarcasmo, così come di fede e speranza. Il premio Nobel per la Letteratura Josè Saramago è senza dubbio tra gli autori che più di tutti hanno deciso di occuparsi esplicitamente di religione e – a tanti anni di distanza dal Vangelo secondo Gesù Cristo – ci è tornato con quella che da anni è definita da più parti “un’impeccabile prova di stile ed ironia”, vale a dire quella racchiusa sotto il titolo Caino ( Universale Economica Feltrinelli, 2019).
Lo scrittore portoghese sceglie la personificazione biblica del male, Caino, e ne fa il protagonista di uno scontro con dio, in una partita a scacchi tra la logica e l’onnipotenza, in cui i due si affrontano – senza esclusione di colpi (anche semplicemente linguistici) – grazie ad una nuova prospettiva, quella dell’autore, nella quale il fratello di Abele è sì un assassino fratricida, ma è prima di tutto un essere umano, né migliore né peggiore degli altri.
Il Caino di Saramago, dunque, rivendica il libero arbitrio con cui ha sbagliato, ma – allo stesso tempo – pretende da dio che anch’egli riconosca le sue responsabilità per non essere intervenuto, dall’alto del suo potere assoluto ad impedire il suo peccaminoso gesto. In effetti quello che, a più riprese, fa il protagonista è mettere alla prova ed interrogare un dio che gli risulta perennemente in ritardo sugli eventi più nefasti, più ingiusti. Perchè? Perchè non ne impedisce la realizzazione alla mano degli uomini che ne sono autori concreti, anche se tutto si risolve, spesso, affermando che è solo a loro che vanno imputate certe cause e conseguenze funeste?
Il dio del romanzo di Saramago risponde ad un ritratto tutt’altro che misericordioso e accogliente, anzi degli uomini ha caratteristiche e temperamento. A volte quello disegnato è, addirittura, “un dio malvagio, invidioso”, comunque quanto meno iniquo, che non ama gli uomini che ha messo al mondo, né conosce realmente ciò che desidera.
Quando con Caino ammette, però, la sua co-responsabilità, chiedendo di tenere per sé questa confessione, allora marchia la fronte dell’uomo e lascia che vaghi nel tempo e nello spazio, come un qualsiasi picaro che si imbatte nelle avventure, assurde per chi privo di fede, e i loro protagonisti.
Caino incontra Lilth e con lei si abbandona ad una passione che neanche conosceva donandole quel figlio che tanto desiderava; incontra Abramo l’uomo chiamato a sacrificare, da dio, il suo unico figlio avuto in tardissima età. Insomma, Saramago costruisce episodi volti a dimostrare come il signore non sia gente di cui potersi fidare.
Tutto sommato, però, potremmo dire che il dio di questo romanzo è, a ben vedere, quel dio che nasce spesso nelle paure di chi crede e si domanda perplesso alle volte dove sia; quello a cui molti danno la colpa per ciò che ingiustificatamente accade; quello a cui molti rivolgono le loro imprecazioni, non credendolo giusto. In questo libro nasce e cresce quel profilo di dio che molti hanno messo in discussione, pur pregandolo o – a volte – proprio perchè lo si prega, ma – va da sè- che l’atto di fede è un dono di ricerca che alle volte può rivelarsi anche faticosa. Il tormento di certe domande in tanti lo vivono – perchè negarlo – e, qualche volta, è proprio il dio di Saramago che si sovrappone a quello loro.
“i bambini, disse caino, quei bambini erano innocenti. Mio dio, mormorò abramo, e la sua voce fu come un gemito. Sì, sarà pure il tuo dio, ma non è stato il loro”.
Il fascino del Caino di Saramago è proprio nella sua dimensione umana, errante e vagabonda come quella di un uomo qualunque immerso nel mistero immenso della vita, in cui rientra anche l’incontro con la fede, un po’ come quei personaggi di un altro romanzo, tutto italiano, come Scacco a Dio di Roberto Vecchioni, in cui i personaggi provano proprio a sfidare, anch’essi, dio inventandosi una nuova vita che vada oltre la presunta ineluttabilità del destino.
Tutto torna ad un filone di continua tensione tra l’umano ed il divino in cui si annega, si galleggia o ci si tira fuori dall’acqua, ma pur sempre – si spera – conoscendo e riflettendo. Quando poi il tutto lo racconta la scrittura ricercata e coinvolgente di Saramago, allora, è proprio un viaggio imperdibile.