“I” come italiani di Enzo Biagi è la voglia di leggere e raccontare libri contemporanei non solo quando lo sono per via della data di pubblicazione ma soprattutto quando lo risultano per via degli argomenti trattati. L’Italia che emerge dalle centosette definizioni che il giornalista e scrittore italiano propone di alcuni argomenti e personalità celebri nella Penisola, crea una grande dinamica riflessiva che al di là del non essere, infondo, molto mutata dalla metà degli anni novanta, sicuramente rappresenta le radici di atteggiamenti di pensiero vivi e validi.
Catturati da un tenace osservatore come Biagi, in “I” come italiani, vengono fuori difetti, contraddizioni, ma anche bellezza e profondità di questo Paese intinto di dicotomie e contraddizioni: seguendo un ordine alfabetico e scegliendo tra tutte quelle possibili ed esistenti alcune parole, ne fa presupposto per raccontare aneddoti e pensieri. Permette così di rivedere, non di rado con prospettive particolareggiate, personaggi che hanno fatto la storia culturale e non solo dell’Italia, come Federico Fellini, Indro Montanelli, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, ma anche Padre Pio, lo stesso Dio ed il Demonio.
Con il libro di Biagi ho rivisto l’Italia in cui negli anni novanta cresceva la consapevolezza di malattie come l’Aids che contagiava anche un bambino e missionari, i crescenti legami spinti da quell’amore che si andava sempre più diversificando anche nel semplice ed edonistico sesso, superando il “bisogno” di verginità e approcciando all’importanza del preservativo; un Paese che faceva i conti con Tangentopoli, con la mafia e le sue vittime, con le città, i loro santi protettori, le mamme e i cognomi più buffi.
Biagi restituisce una polaroid dell’Italia di quegli anni e sembra che lo faccia usando quanto di più familiare e caro ad un giornalista: le parole, come fossimo al cospetto di una delle possibile declinazioni della teoria del filosofo Ludwig Wittgenstein per cui il linguaggio è una raffigurazione logica del mondo. Le parole di “I” come italiani sembrano davvero incarnare quella “teoria raffigurativa del linguaggio” che d’altro canto consente di avere la piena consapevolezza, nonché controllo, delle cose.
In effetti l’ “alfabeto” coniato nel libro da Biagi sembra davvero un caleidoscopio di immagini e fatti che restituiscono la società di quei tempi che affrontava argomenti nuovi che sarebbero diventati intramontabili; un modo senza dubbio originale di tratteggiare, con oggettività e un po’ di quell’indulgenza di chi prova amore per la sua terra, chiaramente col piglio e uno stile asciutto potremmo dire tipicamente giornalistico.
Mi è parso di leggere una sorta di omaggio ad un Paese sorprendente sotto tanti punti di vista. un salto in un passato, durante il quale ero solo una bambina che mi ha aiutato a leggere meglio i presupposti dell’attualità che accoglie il mio essere adulta.