«Noi non chiediamo per forza la vita, ma il coraggio di percorrerla» . Quante volte i giovani reclamano esempi per quel tortuoso percorso che chiamiamo vita, per quel labirinto buio che conosciamo come futuro, forse a portata di scaffale non si sono ancora accorti di avere a disposizione Il mercante di luce di Roberto Vecchioni.
Non un’univoca risposta, ma un possibile suggerimento, una dimostrazione, per l’appunto, su come il senso dei giorni, al di là dell’arcinota opposizione tra quantità e qualità, che ovviamente vorrebbe veder prevalere la seconda, sia innervata da un’irrinuciabile ricerca di senso, da un immenso bisogno di armonia.
Così nelle poche pagine di uno scrigno, quelle della commovente storia di Marco, diciassette affetto dalla progeria, quindi condannato ad una vecchiaia vertiginosamente precoce, prossimo alla fine dei suoi velocissimi giorni, trapela l’investitura del celebre autore di brani come Sogna, ragazzo sogna a “maestro”, ribaltando l’arroganza di quella tribù che si trova a suo agio nell’aforisma di Oscar Wilde« tutti coloro che sono incapaci di imparare si sono messi ad insegnare» . Vecchioni è un insegnante vero, oltre la sua professione, che con questo testo imprime un signum nell’animo del lettore, con un linguaggio semplice ed acuto, tanto romantico quanto incisivo.
Attraverso le parole di un padre disperato, quello di Marco, professore di letteratura greca Stefano Quodam, l’autore indica la strada condivisibile da chiunque si senta, o sia, fuori dal tempo e dallo spazio, nel proprio essere avversi all’omologazione o semplicimente alla banalità, che non legittima un’esistenza vissuta su una dimensione orizzontale, se non si è capaci anche di scendere nel verticalismo della sua profondità, dilatando, così, le coordinate.
Spadroneggia, in questo modo, il senso ultimo di una vita che merita di essere attraversata con ritmi diversi, alle volte in punta di piedi, altre lasciando profondi solchi, ma comunque nella costanza di riempirsi della bellezza che ci circonda, ma soprattutto nel tentativo di donarla agli altri: solo la bellezza può tempestare ogni angolo di luce, svergognando il buio.
Marco e Stefano si sono entrambi trovati a misurare, in modo diverso, il loro mondo col mondo convenzionale, quindi si incamminano su un altro grande esempio, quello ereditato dalle gesta della poesia greca e arrivano, mano per mano, a smascherare la vita, a sollevarne strato dopo strato ogni tappeto di pelle, fino ad arrivarne al cuore.
Chi dei due abbia gettato un’ancora di salvezza nel mare emozionale dell’altro non ha davvero importanza. Entrambi sono “mercanti di luce”, esattamente alla stregua di Omero, Saffo, Anacreonte, Sofocle, Euripide, in un punto sospeso tra il mito e l’invenzione.
« Quando non guardi più avanti, non vedi oltre un palmo, figuriamoci fino a Dio », è proprio quello, e lo suggerisce bene Vecchioni, il momento di unire i punti delle Pleaiadi per disegnare la fantastica storia che è la vita, che possa, in tal modo, diventare una vera « festa di libertà ».
La forza di risalire l’intima disperazione fino ad “accendere la luce”, per rischiare il buio che avvolge alle volte l’esistenza di ognuno, è un forte messaggio di speranza, di quella che ha a che fare più con l’amore per il genere umano e le sue innate riserve di forza, che con la passione che può legare a un dio, al quale ci si aggrappa goffamente sollevandoci dalle responsabilità.
Solo così si può accettare l’apparentemente incomprensibile morte. Solo dando senso alla vita. Solo se si potrà essere protagonisti di una morte all’altezza della propria esistenza, come usava asserire l’indimenticabile Pier Paolo Pasolini, che lasci più amore che sconforto. Più luce che buio.
Tutti possiamo essere “mercanti di luce” in grado di gettare il guanto di sfida alla morte, svuotandola di valore nella misteriosa equazione con la vita.