Quando ci si mette in viaggio su un selciato di speranza ed il cielo è il tetto di tante notti non sempre si riescono a vedere, in tutti i sensi, le stelle. Sembrano sparire dalla volta celeste come coordinate più antiche di sempre e dagli atri del cuore come luccichio vitale: è il buio apparentemente di quanto più diffuso attorno e dentro se stessi. Sono queste alcune delle sensazioni che restituisce il racconto di Alì Ehsani in Stanotte guardiamo le stelle (Universale Economica Feltrinelli 2018).
Il viaggio di Alì inizia nel 1997 dall’Afghanistan, quando saluta la sua terra natale ed il suo miglior amico Ahmed, per partire con suo fratello nel tentativo di raggiungere un futuro migliore in Europa, lasciandosi alle spalle l’ennesima deflagrazione che questa volta, però, a portato via la loro casa e i loro genitori.
Dopo un po’ lancio via i sassi, ogni tanto mi guardo intorno per vedere se c’è qualcuno che gioca a pallone ma oggi niente, giro a destra e poi a sinistra finalmente sono davanti a casa. Ma non la vedo. Non capisco. Dovrebbero esserci, ma non c’è. C’è solo un mucchio informe di macerie. Mi dico che mi sono perso, quante volte mi è capitato, nessuna che io ricordi, allora mi siedo buono buono su un muretto pensando che tanto qualcuno fra poco verrà a cercarmi.
Alì è un bambino di otto anni appena quando affidandosi completamente alle braccia del fratello maggiore, Mohammed, intraprende insieme a lui il lungo viaggio, che diventerà un peregrinare di ben cinque drammatici anni, durante i quali entrambi si ripetono: Siamo come gli uccelli, perché gli uccelli volano liberi e noi voleremo lontano.
Attraversano città che di notte fanno ancora più paura, un po’ come appare il mare a bordo di un’esile barchetta alla luce della luna; lo fanno legati sul portabagagli di un autobus, nascosti in un auto e così via, sempre spogli, spauriti, ma fiduciosi e convinti. Attraversano l’indifferenza e la cattiveria umana, a volte assaporano la pietas, mentre si vedono costretti a lasciare la loro città che non è sempre stata così come li ha spinti via e loro padre gliel’aveva raccontato: un tempo c’erano il cinema, il teatro e anche dei divertimenti.
Dal Pakistan all’Iran, e poi dalla Grecia e all’Italia, si snoda una tragica epopea che è allo stesso tempo una storia di grande coraggio e dignità. Alì rimane da solo, ma raggiungerà Roma con l’obiettivo di realizzare i sogni suoi e di tutti quelli che ha incontrato sul suo cammino e, purtroppo, non ce l’ha fatta.
Questa specie di lungo monologo ci insegna che il destino è scritto e si legge in tanti modi nelle stelle.
La storia di Alì potrebbe essere la storia di tanti che risponderebbero “Sono quello del telegiornale, un clandestino, eccomi”, ma siamo o non siamo la civiltà di Dante? E allora nel titolo dobbiamo sentire riecheggiare quel verso con cui il Sommo Poeta saluta il suo Inferno della Divina Commedia: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.