Una giornalista scrive di una giornalista e a leggere è una giornalista: comprenderete che è una combo perfetta per non staccare gli occhi da una storia realistica che spinge lo sguardo in tantissime direzioni che hanno fulcro nella sguardo che una donna getta sul mondo. Parole, riflessioni, scene e preoccupazioni rimbalzano tra i sensi e il bisogno di “vedere” come si comporta la “collega” è inarrestabile. Sono le pagine del romanzo Studio Sex ad aver attivato tutto questo; le pagine della prima delle Inchieste di Annika Bengtzon nata dalla penna della giornalista e co-fondatrice della casa editrice Piratfàörlaget Liza Marklund ed è una storia così coinvolgente che farebbe lo stesso effetto anche chi non fa lo stesso lavoro della protagonista, per l’appunto Annika.
Annika Bengtzon è una giovanissima giornalista alle prese con il suo primo incarico professionale e con il caso del ritrovamento di un cadavere di una ballerina, nonché aspirante giornalista, per la cui morte il principale sospettato è un ministro. Annika si butta a capofitto nell’indagine, ottenendo talmente tante informazioni da riuscire a portare alla luce una storia di corruzione che coinvolge un sex club e ambienti nazionalisti, na anche una storia di violenza sulle donne. Insomma, un intreccio fitto, appassionante, ma che si intreccia, potremmo dire alla perfezione, con grandi riflessioni e critiche proprio anche all’indirizzo dello stesso mondo del giornalismo, senza dimenticare il gioco di riflessi che si crea tra le due donne protagoniste, dunque non solo Annika, ma la stessa giovane defunta.
In quel rischio che chi racconta le storie degli altri corre costantemente, non solo di ritrovare un po’ della sua, ma anche di rimanerne imbrigliati, soprattutto emotivamente, si gioca gran parte della seconda dimensione della vicenda; poi c’è tutta la tenancia indispensabile a questo lavoro, le domande cruciali che riguardano, quasi sempre, fino a che punto spingersi nella vita degli altri. Così diventano storie a confronto: quella di chi scrive e quella di cui si scrive. Annika combatte per rimanere in equilibrio in questa bidimensionalità, lo fa per tutto il tempo, in particolare quando la questione diventa deonotologica. Ciò che è soprendente, però, è che nonostante questo, per tutto il tempo si ha come l’impressione che questi argomenti rimangano sullo sfondo della vicenda, quasi dirottandoti sulla trama poliziesca, quando poi, chiudendo la copertina, dopo la prima pagina, quella che per tutto il tempo era una sensazione, quasi inconscia, esplode.
Così quella seconda dimensione, si ricongiunge perfettamente alla prima, con un effetto deflagrante che divampa in profonda tristezza, forse, anche in un rimprovero, come a farsi una colpa di non aver ascoltato quei segnali che per tutto il tempo cogli, ma non elabori. Come spesso accade nella quotidianità. Una colpa, dunque, di non aver capito prima, che ti farebbe venir voglia di ricominciare a leggere daccapo, o almeno di ritornare su queste poche righe e non dimenticarle mai.
“Le intuizioni non sono mai in svendita. Le esperienze non vengono mai messe in liquidazione. Al momento dell’acquisto il prezzo sembra sempre troppo alto, impossibile da pagare. Eppure stiamo lì con la nostra carta di credito, diamo le nostre generalità e indebitiamo la nostra pace spirituale per anni a venire. Dopo, quando il contro è saldato e ci siamo lasciati alle spalle le rate, ci sembra sempre che ne sia valsa la pena. Questa è la mia consolazione, oggi, perchè oggi ho deciso. Ho capito cosa devo fare. Ho tirato fuori la mia carta plastificata e incassato la mia anima”.