“View-Master” ( Ghenomena Poesia, gennaio 2018 ) è il titolo della raccolta poetica di Simone Lucciola, ma ancora prima è il “nome di un antico visore tascabile di sottili dischi di cartone contenenti sette paia di piccole fotografie su pellicola 3D stereoscopico raffiguranti in prevalenza panorami”, come spiega dettagliatamente in commento all’opera, il poeta Rodolfo De Biasio. Un’immagine, questa, che rimanda ai componimenti di queste poche pagine, la cui consistenza richiama la medesima delicatezza di un reels, che è poi la stessa di un qualsiasi uomo esposto alla pioggia o al sole della vita, che ne aumentano la durezza, con l’esplosione, però, di una lente che indaga nell’interiorità, spesso assorbita nella sua parte più vera dall’inconscio di ogni individuo alle presa con la costruzione di una riflessione che disegni la ragione ultima di sé e della sua esistenza.

I poemetti di Lucciola scorrono così lungo un fiume di “panta rei”, che si scontra con luoghi dell’animo o del buio ampiamente sedimentati su cui indugiare ed interrogarsi. Ci sono immagini, scene, tappe, reali, concrete, visualizzabili grazie all’uso di un linguaggio, ricercato sì nei riferimenti, ma crudo e contemporaneo nella verve incalzante, nel turbinio di un’emotività che oscilla tra il soffocamento, la malinconia, la rabbia e qualche barlume di speranza mista all’accettazione.

Così sembra di intravedere davvero lo “studio escapologia” annoverato in un verso di uno dei componimenti, nell’impressione che si ha di un tentativo di liberarsi da costrizioni dal riverbero fisico, provenienti soprattutto da un mondo esterno e, il più delle volte, talmente volutamente estraneo e ingurgitato nelle stereotipie, che pare tutti di indossare il “costume ingombrante di Manabozo grottesco”.

I luoghi, certi luoghi ed il loro vivere diventano di per sé già “barbarie” e l’ “ottanio profondo” del mare sembra custodire l’ultima salvezza anche per la poesia dello stesso poeta Lucciola. Vien da sé che imperino “volpi” e “ragnatele” attorno ad un senso di solitudine, talvolta struggente da generare una diffidenza che fa “temere i Danai anche quando portano i doni”. Ma sfiorata la morte di tutto questo rimane qualche posto altro che Simone Lucciola descrive dove, finalmente, c’è “un unico al mondo ad aspettarmi alla stazione” perchè

“Nulla è mai così come te lo immagini

ma come viene

ed è con l’occaso, con l’occorso e con l’occazzo

che devi patteggiare ogni momento […]”

Fortunatamente il peso specifico dell’uomo così condizionato, così variabile, così poco incline alla ricerca almeno di un’anarchia emotiva, trova l’ancora della poesia, quanto meno per sopravvivere consapevole che:



“Achtung in campana non perdiamoci il Paradiso

che è poi sempre, per definizione, altrove:

lì serenissimo, qui invece piove”.

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